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Una nuova Visione del Business

Il sottotitolo potrebbe essere:  realizzare prodotti per migliorare la vita delle persone!

Innovare, secondo Guy Kawasaki, oggi, significa non tanto breakthrough/un rilevante salto di contenuto, ma realizzare il miglioramento di quanto esistente, attraverso un processo graduale e continuo. Non si deve neppure attendere di disporre di un prodotto perfetto: saranno le indicazioni provenienti dal mercato a suggerire via via le modifiche da apportare.

Fondamentale è la capacità di prevedere il potenziale commerciale del prodotto: si tratta non tanto, dunque, di elaborare una idea, quanto di renderla al più presto fruibileE l’obiettivo che guida lo sviluppo dovrebbe essere non tanto quello economico, ma il miglioramento della vita delle persone, “lasciare una impronta nell’universo” (Steve Jobs).

E “buona” è una idea/prodotto che faccia apparire obsoleto quanto già esiste: è così possibile costruirsi sopra un business tale da vincere le sfide del mercato. Ma importante è che il nuovo prodotto esca dall’anonimato, faccia parlare di sè (e oggi i social danno questa possibilità), che ci si relazioni -quale che sia il mezzo- con ogni potenziale cliente.

È pure necessario che quanto offerto al mercato abbia un valore intrinseco che il cliente condivide e che lo induce all’acquisto, che lo conquista perché gli trasmette la sensazione di poter migliorare la sua vita. E questo risultato non può essere ottenuto che attraverso:

  • L’ascolto e la comprensione della realtà del mercato
  • La capacità di “anticipare”, con quel prodotto, una risposta adeguata ad attese del cliente non ancora formalizzate, ma che lui riconosce come le “sue” attese e che, pertanto, lo inducono all’acquisto (e a pagare il relativo prezzo).

Una volta identificato il tal modo il “valore” (i contenuti) che il cliente riconosce a un prodotto, occorre che detto valore venga posto in relazione allo specifico prodotto, al brand strategico e al relativo target attraverso adeguati (e costruiti con competenza ed esperienza) strumenti di marketing, quali possono essere, ad esempio, quelli social (Guy Kawasaki cita espressamente Linkedin).

Vi auguriamo una buona lettura… e una meravigliosa estate!

Da: Economy, “No vision, no business: così come diceva Steve Jobs”, del 28 luglio 2018, pagg. 78-79, a firma Vincenzo Petraglia. A margine del Digital Convergence Day, evento organizzato da Digital Box e Università Bocconi

Dal Pensare al Saper pensare

Perché non rendere anche il lavoratore protagonista del proprio futuro, concordando con il datore di lavoro l’evoluzione della sua formazione sulla base delle prospettive di una continua interazione studio-lavoro in azienda?

Neuroscienza e filosofia, computer science e psicologia: ecco l’offerta didattica delle facoltà di Cognitive science del Regno Unito, per la preparazione dei tecnici che si dedicheranno allo sviluppo della intelligenza artificiale, di robot e, in generale, degli strumenti per mediare fra l’umano e il non umano. Si tratta di un campo che evolve con velocità impressionante, mettendo in difficoltà l’attuale organizzazione scolastica quando essa si proponga di elaborare programmi formativi che rispondano alle nuove esigenze professionali.

Il problema è che non si tratta solo di adattare gli skills alle nuove esigenze professionali, ma anche di allineare continuamente le competenze di mansioni e professioni non strettamente legate al digitale stesso.

È il significato stesso, un tempo univoco, del vocabolo “competenza” che rischia di essere messo in discussione dalla complessità del mondo esterno, che si riflette sui meccanismi dell’apprendimento e dell’agire umano. Anche le mansioni più semplici e quelle delle attività terziarie basate su saperi diffusi e multidiciplinari richiedono ormai conoscenze, anche tecnologiche, per affrontare esigenze di lavoro che devono essere svolte in modo consapevole e responsabile. Interessante la considerazione di Stefano Molina della Fondazione Agnelli (1):

“La competenza non deve diventare la negazione delle conoscenze, ma, al contrario, è conoscenza messa in azione in maniera responsabile, non inerte e sterile, che al momento giusto viene agita e applicata in maniera consapevole e responsabile”. Il che significa che “la distinzione non è fra sapere e saper fare, ma fra sapere e saper pensare”. Ecco che allora la competenza digitale, che si direbbe “tecnica”, non si esaurisce nello svolgimento di mansioni tecniche, ma pervade anche le professioni non digitali, comprese quelle comunicative. Ormai le competenze nel campo del digitale, che un tempo venivano considerate “di base”, oggi sono date per “scontate”; quel che oggi occorre conoscere per svolgere correttamente la propria professione sono il metodo(integrazione fra la logica del digitale e le proprie conoscenze) e la capacità di utilizzodelle tecnologie. Questa constatazione e l’analisi relativa ai dati concernenti il cambiamento della struttura anagrafica del mondo attuale del lavoro (calo dei giovani occupati e aumento di quelli anziani), portano Mario Mezzanzanica (direttore scientifico del Crisp di Milano Bicocca) a considerare che “stiamo perdendo per strada le competenze dei giovani e siamo ricchi di competenze obsolete; certo, anche di esperienza, ma con minore capacità di cogliere il nuovo, anche e soprattutto a livello di management”. Purtroppo, mentre il sistema scolastico arranca, anche gli investimenti in formazione sul luogo di lavoro (quella gestita dalle aziende private) sono in calo e la situazione sta diventando critica. Il che fa diventare fondamentale la formazione pubblica. E, al riguardo, può essere illuminante l’innovazione francese, che chiama gli imprenditori a contribuire alla formazione dei lavoratori per lo 0,6-1% del monte salari, ma in un’ottica di evoluzione concordata fra lavoratore e datore di lavoro,sulla base delle prospettive di una continua interazione studio-lavoro, che rende anche il lavoratore protagonista del proprio futuro.

A corollario di queste considerazioni, l’articolo cita le “5 professioni di domani (2025)”:

  • Designer della realtà virtuale: è una attività destinata ad entrare nel quotidiano
  • Mediatore di etica tecnologica: studio delle norme etiche in connessione con la robotica
  • Esperto di cultura digitale: comunicazione online globale, semplice ma efficace, con la propria audience
  • Biohacker freelance: ricerca fra studio di nuovi antibiotici e la creazione di organismi geneticamente modificati
  • Creativo dei dati IoT: sviluppo, attorno ai device connessi e “intelligenti”, di una rete di protezione per la vita, la salute e il lavoro delle persone.

e altre 5 per dopo il 2025:

  • Guida turistica spaziale, per persone alla scoperta di nuove emozioni
  • Creatori di contenuti professionali: cattura e archiviazione di pensieri e memorie del cervello umano, finalizzate al miglioramento dell’attività di “ragionamento umano”
  • Strategist ambientali: ricostruzione degli ecosistemi naturali ormai in via di estinzione o estinti
  • Innovatori di energia sostenibile, da fonti rinnovabili: studio della loro efficienza e conservazione
  • Designer del corpo umano e bioingegneria: creazione di organi e tessuti umani in sostituzione di quelli logorati, per allungare la vita oltre i 100 anni.

A corollario dell’articolo, sono riportate le percentuali di competenze digitali hard e soft skills risultanti da una indagine, suddivise per settori e per alcune mansioni professionali e manageriali.

Buona lettura!

(1) Da: Il Sole-24 Ore, “Si fa presto a dire competenza”, del 3 giugno 2018, pagg. 10,11, a firma Pierangelo Soldavini

Innovazione e vissuto: un connubio imprescindibile

Azzardiamo un sottotitolo: Salto sul modo di vivere, ma ancorato ai valori umani.

L’innovazione dei prodotti e dei servizi è stata da sempre – ma in particolare in questi ultimi decenni – l’obiettivo strategico delle aziende; in particolare, forse, è diventato il faro delle StartUp per emergere nei mercati di tutto il mondo.

Ma innovare implica una profonda cultura aziendale, non solo a livello di Vision ma anche di Organizzazione aziendale. Perché realizzare una strategia implica chiarezza di comunicazione, coinvolgimento sull’obiettivo di tutti i livelli aziendali, ma anchee necessariamente, metodologia e organizzazione del lavoro dentro l’azienda per tradurre nella realtà quello che da visione deve diventare un prodotto o un servizio concreto immesso sul mercato e tale da catturarne l’interesse.

Ora leggendo su “Mark Up” (articolo citato a fondo pagina) una serie di articoli sul tema dell’innovazione, si può riflettere su quanto si stia scrivendo sul tema dell’innovazione e delle StartUp, ma invece su quanto poco si dica su come le diverse realtà si organizzano al loro interno perché quella vision diventi realtà. Nei vari convegni si è spesso concentrati sul che cosa si vuole, ma in pochi sul come ottenerlo in termini operativi (organizzazione e cultura).

Non intendiamo assolutamente, con questo, sminuire il valore di quanto emerso in sostanza dal convegno e riportato nell’articolo relativo (che, al contrario, invitiamo a leggere). In esso si sottolinea il concetto di innovazione dell’attività umana, purchè condizionata dal vissuto, dalla esperienza, dal pensiero, orientata alla creazione di un valore più elevato, assolutamente espresso in termini umani e tale da tener conto del consumo di risorse temporali e mentali richieste all’utente. Pertanto, innovazione tale da andare oltre il prodotto.

L’informazione sempre più diffusa e accessibile alimenta la sfida dei big data e dei suoi algoritmi (Francesco Morace), ma non sembra più in grado di plasmare il senso e il significato della nostra esistenza” (ossia il valore di cui stiamo parlando). Di qui, la necessità di puntare sulla:

  • Conoscenza, più che sulla potenza e quantità della informazione
  • Consapevolezza di chi sa ragionare, più che sul calcolo computazionale
  • Intuizione umana sulle convinzioni profonde, più che sulla potenza di elaborazione delle macchine
  • Capacità di leggere il contesto, di dare spazio alla intuizione e alla fantasia.

Ma attenzione, perché il cambiamento radicale dei modelli esistenti, a differenza di un percorso di evoluzione progressiva, può determinare grossi problemi a livello personale e sociale, e pertanto impone la necessità di integrare l’innovazione con il tradizionale.

Buona lettura!

 

Da: Mark Up, 9 settembre 2017, estratto da pag.40-48, “Innovazione, nonsolostartup”, a firma Francesco Oldani.