Le chiavi dell’Efficienza e del Mercato

Quali sono i fattori chiave per risultare competitivi sul mercato globale? Come condurre una ristrutturazione organizzativa in azienda? Domande difficili alle quali proponiamo una risposta che vuole sintetizzare due articoli apparentemente distanti dal punto di vista del contenuto (almeno, a giudicare dai titoli), ma in effetti quasi complementari.

Il primo è relativo a una intervista a Marco Eccheli, director di AlixPartners: il secondo è di Dario Di Vico (giornalista, profondo conoscitore del mondo economico e sociale).

Quali sono le riflessioni che li accomunano? Risposta: per essere competitivi si evidenzia:

  • La necessità di una analisi e integrazione operativa di tutti i soggetti coinvolti nella filiera: cliente finale – azienda produttrice (a sua volta strettamente integrata con i suoi fornitori) – sistema distributivo
  • Processi lean aventi una struttura organizzativa piatta, ovvero poco gerarchizzata, in modo che il flusso decisionale e operativo risulti flessibile e veloce
  • Possibilmente, processi trainati (pull) dalla richiesta del cliente, per produrre solo ciò che viene effettivamente richiesto dal mercato, senza fare magazzino
  • Personale formato per essere intercambiabile nei ruoli operativi.

Per risultare competitivi sul mercato globale, osserva Marco Eccheli, l’innovazione non può essere limitata al solo prodotto, ma deve riguardare la ricerca dell’efficienza di tutta l’organizzazione aziendale, compresa la sua estensione a monte (con la selezione e il coinvolgimento dei fornitori) e a valle (con il processo di distribuzione e di comunicazione con i Clienti, in particolare quello che attiene la comprensione delle loro effettive attese). È fondamentale la capacità di liberare risorse per trasferirle all’innovazione veloce del sistema produttivo e alla sua efficienza, alla riduzione della complessità del prodotto, perché allunga i tempi di produzione, aumenta i costi e riduce l’affidabilità.

Si aggiungono alcune riflessioni sul problema della molteplicità dell’offerta, che evidentemente può interferire con la semplificazione e lo snellimento dei processi. Per coprire tutta la gamma di attese occorre:

  • Saper distinguere fra trend del mercato di breve e lungo periodo
  • Segmentare opportunamente i consumatori, pure per una stessa tipologia di attese rispondendo anche a quelle delle nicchie di consumatori perché sono alla ricerca di qualcosa da sperimentare
  • Lavorare sul Brand oltre che sul prodotto
  • Aiutare i propri Clienti a individuare le attese effettive del loro mercato.

In fine, occorre organizzare la propia supply chain e la distribuzione del proprio prodotto a livello globale, progettare una propria scelta strategica di approccio al mercato valutando le diverse opportunità di partnership con altri produttori, joint venture, acquisizioni, eccetera.

Il sostegno del digitale risulterà allora molto utile per:

  • La raccolta dei dati fondamentali (strumenti di text analytics per la segmentazione, modelli predittivi per prevenire un eventuale divario fra domanda e offerta, eccetera)
  • L’ottimizzazione dei modelli di pagamento, inventory management ed e-commerce
  • L’integrazione di tutta la catena fornitori-produttori-clienti.

Si tratta di una vera e propria ristrutturazione organizzativa aziendale che deve costituire una scelta continuativa. Per diventare più snelli, occorre combattere ogni forma di spreco, il che presuppone che ogni operatore in azienda operi in un rapporto cliente-fornitore interno, cioè che:

  • Consideri chi sta a valle della propria posizione di lavoro come un cliente dell’azienda (in effetti è il cliente del suo operato): pertanto, deve conoscere e rispondere alle sue attese per quanto riguardo il risultato del lavoro su cui è impegnato
  • Consideri chi sta a monte un fornitore e, pertanto, deve fornirgli i requisiti di quanto vuole ricevere, e pretendere il loro rispetto.

Come si vede, in quest’ottica:

  • Si sgretola la tradizionale suddivisione del lavoro in lavoro dipendente e autonomo, e prevarrà quest’ultimo
  • Lo snellimento del flusso del lavoro comporterà uno snellimento della struttura gerarchica e, di conseguenza, la riduzione delle posizioni di lavoro intermedie

per cui, nel prossimo futuro, è prevedibile che l’incremento occupazionale verrà non dal manifatturiero ma dall’area dei servizi, in particolare da quelli a elevato valore aggiunto, e dall’auto-imprenditorialità piuttosto che dal lavoro dipendente.

Buona lettura!

Da: “Food” del  01 dicembre 2016, estratto da pag. 30,31,32. Titolo originale: “La via per innovare e diventare competitivi”,  A colloquio con Marco Eccheli, director di AlixPartners, consulenza strategica.

Da: “Corriere della Sera: dossier ” del  22 dicembre 2016, estratto da pag. 17. Titolo originale: “Lavoro: l’ascesa del nuovo terziario e degli autoimprenditori. La scommessa: trovare forme eque nella flessibilità”  a firma: Dario Di Vico.

Aziende: piccole ma innovative

La riflessione trae spinto dall’nteressante articolo di Benedetta Gandolfi comparso su Wall Street Italia.

Il sottotitolo  recita: “La tecnologia da sola non fa innovazione; sono le persone che fanno la differenza. Compito dell’azienda è quello di stimolare la creatività dei propri collaboratori, favorendo e assecondando la loro curiosità e passioni”.

Giusto – verrebbe da commentare – ma quanto rende? E i rischi?

La prima considerazione fatta da Benedetta Gandolfi è che, a livello di vertice aziendale, anche se nelle strategie aziendali si fa sempre più largo il termine innovazione, pure sono ancora forti i timori di inserire questo aspetto fra le priorità aziendali.

Il mondo industriale oggi ha a disposizione tecnologie digitali e di automatizzazione in continua evoluzione, che ampliano lo scenario operativo e di mercato (si parla di quarta rivoluzione industriale): ma questo scenario impone un  adeguamento sia del rischio d’impresa che della cultura del personale. Sì, cultura del personale, perché oggi è la velocità di adeguamento che fa la differenza, non più necessariamente la dimensione aziendale. Le aziende non possono più vivere di rendita; l’Italia è posizionata assai male quanto a propensione al cambiamento e al rischio che il cambiamento comporta. Eppure siamo consapevoli che occorre il coraggio e la capacità di scardinare i freni della burocrazia, di incentivare l’innovazione in tutti i suoi aspetti strategici, a livello sia di paese che di industria.

L’innovazione parte dalla creatività delle persone, dunque, dalla loro curiosità, dal loro atteggiamento mentale: ora nelle aziende più piccole, dove minore è la complessità della struttura del personale, il personale ha in genere maggiore possibilità di esprimere la propria creatività e questa considerazione spiega perché siano proprio talora queste aziende le più veloci a cambiare strategia. Risultato, beninteso, registrato anche in alcune grandi aziende, ma là ove la cultura del personale è aperta all’innovazione, non condizionata da soluzioni consolidate, attenta a raccogliere il contributo creativo del proprio personale.

L’articolo, al riguardo, cita varie testimonianze di alcuni vertici aziendali. Riporta una frase di Steve Jobs: ”non si assumono le persone intelligenti per dire loro cosa devono fare ma perché lo dicano loro a noi”; e il ceo di Google: occorre “assumere figure di profilo significativo e valorizzarle per quello che sanno fare”. Insomma: l’innovazione nasce dall’uomo; è dalla sua capacità di esprimere idee che nasce il nuovo, dal suo pensiero critico e creativo. Guai a chi non si orienta rapidamente in questa direzione, per paura dei rischi che ciò inevitabilmente comporta. Ma, sostiene Joichi Ito (Mit Media Lab), i rischi possono essere fortunatamente “affrontati come piccoli esperimenti con bassa probabilità di fallimento… Una società deve assomigliare più a una piattaforma di sperimentazione che a una organizzazione centralistica e centralizzata”.

E voi? Quali sono le vostre esperienze e riflessioni? Scrivetemi tramite la pagina contatti e pubblicherò i vostri contributi.

Buona lettura!

Da: Wall Street Italia del 23 novembre 2016, estratto da pag. 26, 27, 28, 29

Titolo originale: “Innovazione, una sfida che passa dalle persone a firma: Benedetta Gandolfi.

Il treno del Web: corre per tutti?

Non esiste la consapevolezza che ricorrere al digitale è diventato un aspetto della strategia aziendale ormai irrinunciabile.

Lo afferma Sandro Mangiaterra (Link), sulla base di quanto evidenziato da una indagine su 1200 imprese, di tutti i tipi, condotta da Pragma per conto di Registro.it: anche se il 91% delle imprese aventi da 1 a 9 addetti (il 95% delle imprese italiane) ritiene di primaria importanza la presenza sul web, pure non possiede un suo dominio e, dunque, neppure una adeguata strategia digitale. E questo le pone già in una posizione di debolezza rispetto alla concorrenza internazionale.

Ecco i dati emersi.

Il 67% delle imprese possiede almeno un dominio e solo il 5% ne ha più di uno. Ma a quale scopo esse lo utilizzano? La risposta: per leggere la posta (65%), per avere un indirizzo e-mail personalizzato e professionale (39%), per avere maggiore visibilità (34%), per fare comunicazione e marketing (15%). Solo il 27% utilizza Facebook (che ha 1,7 miliardi di utenti a livello planetario), mentre Linkelin e Twitter non superano il 35%.

Il fatto che il 33% delle aziende non utilizzi il web mette in discussione l’opportunità di lanciare Piani del tipo 4.0  (tra l’altro, ignoti al 79% degli intervistati) e relativi incentivi. Eppure, le aziende intervistate ritengono di possedere “un tasso di digitalizzazione aziendale sufficientemente avanzato, adeguato e a livello della concorrenza” e ritiene di destinare al digitale non più del 5% delle risorse disponibili.

Il 91% delle più piccole imprese italiane non ricorre all’e-commerce, l’86% non fa marketing e comunicazione online: come può comunicare efficacemente e fare “catena” con i suoi stakeholders?

Che il ricorso al digitale sia ormai un aspetto irrinunciabile per le imprese al fine di innovare, lo sottolinea anche Fabio Vaccarono (Link). La rete, scrive, è diventata ormai “la più grande infrastruttura orizzontale creata dall’uomo”, di cui modello di business e strategia produttiva devono assolutamente tener conto per rapportarsi col mercato.

Quello che era una nicchia di mercato locale, con la rete ha l’opportunità di diventare un “grandissimo” mercato. Non c’è la consapevolezza che una micro impresa (di qualunque tipo di business) può diventare, senza grandi investimenti strutturali, “una micro-multinazionale ed essere visibile in ogni luogo del pianeta”.

Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Unioncamere e la stessa Google sono impegnate in progetti per formare la consapevolezza e le capacità operative necessarie per utilizzare la rete in modo funzionale alla strategia aziendale, rilanciare l’economia e ridurre la disoccupazione.

Buona lettura!